“Portrait of a Room” alla Galleria Poggiali di Milano
Dal 15 febbraio al 27 marzo 2019 la Galleria Poggiali di Milano presenta Portrait of a Room, la prima mostra personale dell’artista americano Thomas Kovacevich (Detroit, 1942) in Italia, a cura di Chiara Bertola.
Portrait of a Room raccoglie un corpus di opere pensate dall’artista appositamente per la Galleria legate alla materia che ha caratterizzato e attraversato tutta la sua carriera: la carta e la sua enorme possibilità di vita e di trasformazione. Un’installazione unica, che entra in relazione con lo spazio cubico della project-room e con l’ampia e luminosa vetrina che si apre su Foro Buonaparte creando un’inaspettata profondità spaziale.
Nello spazio illuminato a luce naturale, Kovachevich ha preso il più semplice dei materiali – nastro da imballaggio bianco e nastro di gros grain – e ha creato tre lavori separati che si percepiscono allo stesso tempo scultorei e pittorici. Ogni tableau a parete è composto da lunghe strisce di nastro di gros-grain fissate in alto e in basso su un pezzo più spesso di nastro. Appese una dopo l’altra, le strisce creano un quadrato di colore vivo che si trasforma con lo spostamento nello spazio e l’umidità nell’aria. La striscia di carta si muove e si arriccia intorno al nastro, respira, vive, si trasforma nell’arco del giorno man mano che cambia il livello di umidità nella stanza. I tre grandi quadri alle pareti della galleria non sono soltanto una registrazione dei cambiamenti nell’ambiente, ma rappresentano anche un modo peculiare di percepire la stanza, rendendo visibile l’invisibile. Quando i nastri di carta incollati al gros-grain si aprono e si chiudono, tutta la parete vibra e si muove come se fosse attraversata dal vento e dall’aria esattamente come la luce vibrava nei campi en plain air di una tela impressionista.
”Per affrontare l’opera di Thomas fatta soltanto di carta – sottolinea nel suo testo in catalogo Chiara Bertola, curatrice della mostra – ho dovuto rimettermi a studiare questioni che avevo dato per scontato sul vedere e sul guardare. Ho sentito l’esigenza di riprendere in mano gli studi sulla percezione di Rudolf Arnheim e farmi aiutare dalla sapienza antica di Socrate per ricordarmi che non vediamo perché abbiamo gli occhi, ma che abbiamo gli occhi “per vedere”.
Per trasformare lo spazio della stanza della galleria in un paesaggio congelato a Thomas Kovachevich sono stati sufficienti tre cubi di carta increspata, una colonna composta da tubicini di carta trasparente e un gruppo di sagome ritagliate in carta traslucida che ancora lascia passare la luce. La sensazione è quella di ritrovarsi davanti un paesaggio fatto di iceberg, stalattiti e geyser, dove le forme semitrasparenti, acquistano volume e dimensione contenendo la luce al loro interno.
Gran parte del lavoro di Kovachevich ha una qualità intima che gioca tra il controllo e incidente e investe la geometria con un contenuto emotivo. Per l’artista americano le forme sono esplorazioni razionali della geometria e il contenuto emotivo insito nel suo lavoro è costituito da una componente irrazionale. “Credo che uno dei motivi per cui ero attratto dal minimalismo – racconta lo stesso Kovachevich – era il suo tentativo di definire la purezza. Tuttavia, nel mio lavoro ho sempre cercato di investire la geometria con un contenuto emotivo.”
Thomas Kovacevich fa parte di quella generazione di artisti che, in America, tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70, hanno esplorato l’idea di smaterializzazione dell’arte per rendere il processo creativo accessibile al pubblico; si avvicina alle ricerche della Process Art e utilizza materiali naturali e industriali confrontandoli per esaltarne l’espressività primaria delle loro proprietà fisiche. Gli artisti a lui più affini sono Richard Tuttle per l’utilizzo di materiali, James Lee Byers che rende l’invisibile la sua arte e Tom Shannon che gioca con la meraviglia della scienza.
Harald Szeemann e Jean-Christophe Ammann, che lo invitarono a Documenta 5 nel 1972, lo inclusero in un gruppo di artisti e parlarono per la prima volta di ‘mitologie individuali’.
Oggi le sue opere sono conservate all’interno di importantissime collezioni internazionali, tra queste quella del Bern Kunst Museum di Berna, quella del Hammer Museum di Los Angeles, quella del Museum of Contemporary Art di Chicago quella del Museum of Jurassic Technology di Los Angeles e quella del Museum Marseille/Cantinni di Marsiglia.
Per l’occasione sarà edito un catalogo con testo critico di Chiara Bertola.